La Riserva

Riserva Naturale Orientata Monte Pellegrino

La Riserva Naturale Orientata “Monte Pellegrino” è una riserva naturale regionale della Sicilia, istituita ai sensi dell’art.4 della L.R. 14/88 e successivo decreto dell’Assessorato al Territorio ed Ambiente n. 610/44 del 6 ottobre 1995; una delle motivazioni per cui è stata istituita la Riserva è stato l’interesse botanico per i neo-endemismi, quali Brassica rupestris, Centaurea cineraria var. sicula, Lithodora rosmarinifolia e la protezione di alcune specie di passeriformi.

Successivamente all’istituzione della Riserva, ai sensi della direttiva 92/43/CEE, Monte Pellegrino è stato individuato come SIC (Sito di Interesse Comunitario) e identificato con il codice ITA020014, inoltre con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 21/12/2015 è stato elevato a Zona Speciale di Conservazione.

La Riserva, gestita dall’Associazione Rangers d’Italia Sezione Sicilia, ha al suo interno una lunga serie di peculiarità legate all’aspetto naturalistico, geologico, paesaggistico, archeologico, monumentale e storico  militare.

La riserva, estesa 1050 ettari, è suddivisa in zona A di 650 ettari, comprendente l’intero massiccio di Monte Pellegrino e Bosco Niscemi, (aggiunto con decreto 13 dicembre 2001, unica zona A nel “Parco della Favorita”), e zona B di circa 400 ettari, costituita dalla “Real Tenuta della Favorita” con Piano Landolina, escluse le infrastrutture sportive.

La zona A, suddivisa in sottozone A1, A2, A3 secondo quanto previsto dal Piano di Sistemazione approvato con D.D.G. n. 945 del 04/08/2003, è soggetta a protezione integrale.

Zona A1. Aree di protezione integrale, dedicate alla ricerca scientifica, caratterizzate dalla originaria macchia-foresta mediterranea (bosco a leccio, olivastro, lentisco, euforbie e comunità casmofitiche). Questa zona con elevato grado di biodiversità, ha la sua massima rappresentatività nel “Bosco S. Pantaleo”, situato a nord di Monte Pellegrino, nei pressi delle grotte dell’Addaura.

Zona A2. Aree di protezione e riconversione, dedicate agli interventi di ripristino di habitat in sofferenza e da rinaturalizzare.

Zona A3. Aree di mantenimento della diversità entomologica e delle attività tradizionali, dedicata all’esercizio del pascolo in maniera tradizionale e delle comunità animali ad esso legate.

La zona di preriserva è sottoposta alla pianificazione del Piano di Utilizzazione della Zona B della Riservaapprovato con D.D.G. n. 368 del 29/06/2012, che ne stabilisce la zonizzazione, le destinazioni d’uso e le attività consentite.

Il Monte e il Parco

Millenni di storia sono racchiusi nell’area protetta, dai graffiti paleolitici di “Grotta Niscemi”, agli insediamenti preistorici dell’Addaura, luogo di scontro tra romani e cartaginesi, reggia di “Santa Rosalia” e Parco per Ferdinando III di Borbone.

“Il più bel promontorio del mondo…grande massa rocciosa, più larga che alta, giacente all’estremità Nord/Ovest del Golfo di Palermo….Le sue rocce sono completamente nude, nè alberi né cespugli vi crescono; appena coperte d’erbetta e di muschio sono le poche parti pianeggianti “ così nel 1787 Goethe descrisse Monte Pellegrino sbarcando a Palermo.

Si ipotizza che il monte sia stato frequentato sin dall’antichità per svariati motivi: la sua idoneità al rifugio data la presenza di grotte e ripari, la sua vicinanza al mare e alla campagna e la sua particolarità strategico-militare. Numerosi sono i ritrovamenti e le testimonianze archeologiche pervenuteci fino ad oggi: per esempio i graffiti paleolitici della Grotta Niscemi scoperti nel 1954, quelli della Grotta delle Incisioni, ancora stanziamenti preistorici della Grotta Addaura Caprara, della Perciata e di quella del Ferraro nella quale sono stati rinvenuti resti umani e vasellame d’argilla.

Il Monte, che raggiunge una elevazione massima di circa 600 m s.l.m. a “Pizzo Semaforo”, è un promontorio immerso nella “Piana di Palermo”, circoscritto dai “Monti di Palermo” (un segmento della catena siciliana di cui fa parte), delimitati ad oriente dal fiume Eleuterio, ad occidente dal fiume Jato, a sud degradano nelle colline dell’”Alta Valle del Belice”, e a nord dal Mar Tirreno.

Dal punto di vista geomorfologico l’intero massiccio del monte (equivalente grosso modo alla zona A) è formato da calcari e calcari dolomitici con età compresa dal Triassico superiore (primo periodo del Mesozoico, compreso tra 250 e 200 Ma), all’Eocene (periodo Paleogene che va dai 56 Ma ai 34 Ma), in sovrapposizione alle calcareniti pleistoceniche. La zona B è invece rappresentata dai litotipi disgregatisi e formanti un abbondante detrito di falda che avvolge tutto il pedemonte e da “terre rosse residuali”.

La sommità e i fianchi presentano delle superfici pianeggianti, generate probabilmente dalle fasi di stasi del livello di base dell’erosione, che successivamente sono state carsificate, producendo micro e macroforme di carsismo superficiale, fenomeno per cui le rocce calcaree costituite da carbonato di calcio, vengono dissolte da acque acide, dando origine a bicarbonati solubili.

Nel rilievo sono presenti 64 grotte censite nel Catasto Speleologico Italiano della Provincia di Palermo, presenti sia sulle aree sommitali (di origine carsica e per la maggior parte con andamento verticale) sia lungo le scarpate a sviluppo sub-orizzontale legate all’azione marina.

L’area pedemontana, costituita da elementi detritici che vanno dalla minuta ghiaia ai giganteschi massi, detta “detrito di falda”, si è originata a partire dalla disgregazione del Monte, fino a raggiungere la fascia costiera e la “Piana di Palermo”.

Il Parco della Favorita nacque come riserva reale di caccia e luogo di diletto della corte borbonica di Ferdinando III, intorno al 1799, in seguito allo precipitosa fuga che costrinse il re a rifugiarsi a Palermo dopo la proclamazione della Repubblica Partenopea.

Con lo nascita del Regno d’Italia il parco passerà ai Savoia fino al 1926, anno in cui la Real Tenuta della Favorita retrocede a Demanio dello Stato affidandone l’uso al Comune di Palermo per il pubblico godimento (Decreto legge 4 ottobre 1926 n° 1795).

La maggior parte del Parco, ampio circa 400 ettari, era destinata a frutteto, campi sperimentali con coltivazioni di fichi d’india, noci e sommacco,  colture tradizionali officinali ed esotiche, orti irrigati tramite un accurato impianto, vigneti, boschetti e pinete all’interno dei quali si svolgevano i percorsi di caccia.